La memoria e la fotografia
Manifestazioni, piccoli frammenti che scegliamo di conservare.
In una lezione di Giovanni Chiaramonte, lo studente Mario Govino (oggi uno dei più grandi stampatori Fine Art d’Italia) pone una domanda: quando lui scatta un ritratto a una giovane ragazza, e col tempo quella ragazza invecchia, la foto scattata quando era giovane diventa un momento eterno?
“G.C.:” C’è un critico che dice:
“La fotografia è un omicidio della realtà.”
Allora tu o non rispondi alla questione di realizzare quella foto, oppure dici: “Me ne frego, la faccio lo stesso.” Oppure ancora ti poni la domanda: quella memoria lì, a chi serve?
Se pensiamo a quanti siamo su questa terra, e se dovessimo archiviare tutti i momenti di tutte le persone del mondo, sarebbe come replicare il mondo stesso.
Possiamo tenere tutto in memoria? Certo che no.
L’uomo conserva soltanto alcuni momenti, un aspetto selettivo del tempo. Questo vale anche per le fotografie che facciamo: sono istanti che vogliamo conservare.
Certo, ci sono le fotografie delle cerimonie – battesimi, cresime, comunioni, matrimoni – ma è questa la memoria? Certamente no.
Il cerimoniale è una documentazione di un evento, sicuramente importante, ma la memoria è ciò che decidi di conservare: un frammento di ognuna di queste manifestazioni.
“G.C.:” Tutti mi dicono, ai compleanni, cresime, comunioni: “Devi fare le foto.”
E io non le voglio fare.
La maestra mi dice: “Perché lei non fa mai le foto dei suoi bambini?”
Perché per me la memoria di quel gesto non è nella fotografia.
Oppure, forse, non ho ancora trovato un’immagine di compleanno che valga davvero la pena di essere scattata, di sprecare un rullo.
Ci sono miliardi di foto di compleanni, tutte uguali.
Per quanto mi riguarda, non è quella la memoria.
Certo, potrei sbagliarmi. Se riuscirò a fare un clic in cui la foto del compleanno di uno dei miei bambini sia significativa per tutti – che faccia davvero comprendere che cos’è un compleanno – allora quella foto acquisterà un senso più ampio di una semplice catalogazione temporale. Vuol dire che l’immagine che tu fai non riguarda solo te, ma è talmente importante ciò che si vede che diventa importante anche per gli altri.
…raccolti diffusi da G. Chiaramonte.
In Germania, ai tempi di August Sander
C’erano moltissimi fotografi che facevano ritratti ai tedeschi. La differenza è che, se guardi dieci foto di Sander, capisci chi erano i nazisti, da dove sono venuti, quali erano le loro categorie mentali, la loro visione della vita — solo osservando quei volti. Nessun fotoreporter ha mai fotografato una tale profondità. Il reporter ti mostra le camicie blu mentre bruciano i libri: ti mostra delle azioni. Ma quelle azioni, in fondo, potrebbero ricordare_(“) i tifosi allo stadio che bruciano la bandiera della squadra avversaria.
Quando invece, nel 1924, Sander fotografa un notaio che passeggia con il suo cane, ti vengono i brividi. Perché in quella faccia vedi già il nazismo. Vedi i sei milioni di morti nei lager. E la cosa più sconvolgente è che nessuno ha visto niente. Nessuno.
Guardando bene questa foto, apparentemente di un notaio, non è la semplice foto di un notaio che va in giro con il suo cane, ma in quella foto, in quel volto, vedi tutta quella crudeltà, tutta quella follia che sarebbe avvenuta con il nazismo.
Questo notaio paga Sander per una sua foto ricordo. Possiamo dire che è un’immagine che va bene perché non rappresenta l’uomo nella sua veste notarile, ma il suo carattere sociale.

Appunti di viaggio su moda e città, Yohji Yamamoto & Wim Wenders
Il regista tedesco Wim Wenders, che vive a Berlino, si reca in un grande magazzino per comprarsi una camicia e una giacca. Le prova e sente, come dice lui, che per la prima volta nella vita indossando un vestito ha la sensazione che siano davvero i suoi. Guarda l’etichetta e legge “Yamamoto-Tokyo”. Wenders, vista una grande curiosità, decide di andare a Tokyo. Entra nella sartoria di Yohji Yamamoto e scopre che le pareti dello studio sono tappezzate di fotografie di August Sander. Yamamoto, quando preparava una collezione dedicata alla Germania, si ispirava alle fotografie di Sander. A quel punto Wenders esclama: “Ecco perché indossando questo vestito ho sentito sopra di me il tempo di mio padre.”
La fotografia cosa complessa e grande…!
...raccolti diffusi da G. Chiaramonte.