l’Italia, "Non è un paese visivo"
In un articolo, condiviso d’amici su facebook e pubblicato nel sito Punto di Svista, intervista a Edward Rozzo, fotografo e docente di cultura visiva, sull’arte e la fotografia a Milano. Nella prima domanda fatta da Giovanna Gammarota, nel dare un “giudizio sull’attività di Milano in confronto all’arte e alla fotografia e se è all’altezza di definirsi una città Europea”, la frase che attira la mia attenzione è quando dice: “Personalmente trovo che l’Italia, in generale, abbia una cultura basata sulla parola. Non è un paese visivo“. Per un fotografo come me e tanti altri che hanno trovato un punto visivo sulla fotografia, proprio nella scuola milanese, un’affermazione come questa, non ha potuto che confermare come una certa cultura mediatica sulla fotografia contemporanea si sia impoverita nel tempo.
Volendo contraddistinguere, in modo adeguato, su alcuni punti salienti della nostrana storia della fotografia, ho sentito la necessita di chiedere un suggerimento agli amici di Ultreya, “un luogo che ho sempre percepito come un tempio dell’immagine”, inoltrandomi subito questo testo:
Il problema dell’Italia rispetto alla fotografia è che l’Italia, al contrario di quello che afferma Rozzo, è un paese troppo visuale, è il paese in cui è presente gran parte del patrimonio visivo dell’intera umanità e peraltro proprio in Italia l’invenzione della pittura prospettica e la messa punto dell’obbiettivo da parte di Galileo (il passaggio da Piero della Francesca, Leonardo da Vinci, Caravaggio, i pittori veneti Canaletto e Bellotto, che utilizzano la camera ottica per i loro dipinti) porta all’invenzione della fotografia. Il problema dei fotografi in Italia, che peraltro nel secondo dopoguerra ha avuto una della più rilevanti generazioni di registi del cinema, è proprio quello di doversi confrontare con una storia piena di artisti visuali capaci di creare capolavori universali. In Italia in questo momento vi è sicuramente una concentrazione di grandi fotografi che per originalità di visione e complessità del loro percorso non hanno nulla da invidiare agli Stati Uniti e alla Germania, essendo la fotografia inglese, francese e spagnola assai più povera di autori rilevanti. A partire da Mario Giacomelli, che fu inserito già negli anni 60 da John Zarkowski tra i più importanti autori della storia della fotografia, e Mario Carrieri, di cui “Milano. Italia” viene giudicato dall’inglese Martin Parr come un libro capolavoro degli anni 50, la generazione successiva, quella di Mimmo Jodice, Guido Guidi, Franco Vimercati, Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Giovanni Chiaramonte, Olivo Barbieri ha sviluppato e animato una stagione straordinaria. Ciò che manca all’Italia contemporanea non sono certo i grandi fotografi e le loro opere, che sono state tutte pubblicate in volumi di altrettanto straordinaria qualità tipografica. Quella che è mancata è la presenza di critici, galleristi e direttori di musei di arte contemporanea capaci di esporre e far circolare nel contesto globale e quindi unitario dell’arte quanto hanno fatto. L’opera di questi artisti, come sta dimostrando la vicenda di Luigi Ghirri, è purtroppo postuma. Ci sono voluti più di 20 anni dalla morte di Ghirri per vedere al Museo di Arte Contemporanea di Roma e alla Biennale di Venezia le sue opere. Sarebbe bastato che quanto fatto da Arturo Carlo Quintavalle fosse stato recepito dal sistema dell’arte italiana. Ma così non è stato. Questo non toglie nulla al valore dei fotografi contemporanei italiani che, peraltro, hanno lavorato con intelligenza e universalità a rappresentare la complessità del mondo. Questi autori hanno tutti lavorato in maniera significativa nei diversi paesi europei, in America, in Asia, ribadendo ancora una volta la dimensione planetaria dell’arte italiana.
Cercando tra i libri, proprio una foto di Rozzo è messa come copertina del volume “Fotografia Europea Contemporanea”, in cui per la prima volta compaiono insieme i nomi dei fotografi italiani prima citati con quelli di Joan Foncuberta, Bernard Plossu, Martin Parr, Paul Graham, John Davis.
Come e perché nei volumi appena pubblicati in Italia i critici italiani mettano i nomi dei fotografi stranieri appena citati e non il nome degli autori italiani che hanno pubblicato ed esposto anche nelle più importanti gallerie straniere è proprio l’indice che la crisi italiana non è nei fotografi ma nei critici e nel potere culturale che li governa.
Raccolti diffusi da Giovanni Chiaramonte. 23/05/2013